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Riflessioni quasi tecniche sul preverdissement Stampa
Scritto da webmaster   
Martedì 27 Novembre 2012 16:31

Girando in questi giorni autunnali per le aree ex-agricole residue di Segrate assistiamo con bella sorpresa alla posa in opera di centinaia di nuovi alberi, scelti tra specie autoctone e non ormai diffuse in parchi e giardini (bagolari, frassini, ciliegi, querce, tigli, liquidambar, liriodendri, sophora, corniolo, evonimo, ligustro, viburno, piracanta e altre).

L'iniziativa sarebbe notevole se non fosse che gli alberi sono mezzo di scambio per concedere nuove ingenti costruzioni (nelle aree adiacenti, non piantumate) e la definitiva scomparsa dell'agricoltura dal territorio di Segrate.
Comunque la si pensi circa l'opportunità che sopravviva l'agricoltura in aree urbane, siamo di fronte alla messa in opera del cosiddetto "preverdissement" previsto nelle aree di trasformazione (da agricole a edificabili) TR1 e TR2 del PGT, ossia la piantumazione preventiva. In pratica: se voglio aver la possibilità di costruire devo prima piantare alberi (con criteri sommariamente definiti dall'Amministrazione, ossia in maniera troppo vaga), poi spero che l'Amministrazione Comunale approvi il mio progetto, entro i limiti di edificazione previsti dal Piano.
Ma d'altro canto quale Amministrazione negherebbe al privato di costruire dopo essersi accollato una ingente spesa per la piantumazione?

Ad ogni modo, i limiti del preverdissement sono evidenti agli specialisti del settore: è uno strumento urbanisticamente sbagliato se così fatto perché non prevede una concertazione adeguata tra le parti né il rispetto delle fasi d'approvazione del progetto. Talvolta anche il buon senso può aiutare: in quale terreno si costruirebbe un giardino prima che sia approvato il progetto di costruzione della casa?
Il giardino, specie se pubblico, deve essere adeguatamente misurato sulle esigenze paesaggistiche e sulla base delle altezze e funzioni delle costruzioni, e i suoi costi di mantenimento - che ricadranno così sulle tasche dei cittadini perché il terreno non edificato diventerà pubblico - andrebbero adeguatamente commisurati su dei bilanci previsionali, i quali si basano ahinoi ampiamente sugli introiti degli oneri edificatori, e quindi nei prossimi decenni saranno sempre più magri, non rimanendo quasi più territorio da costruire.
Questi i maggiori errori di metodo.

Poi l'errore di merito: la piantumazione a scacchiera (modello "cartiera") come quella ora in prevalenza scelta a Segrate è esteticamente brutta, sciocca, avulsa dal tentativo di riproduzione di un contesto naturale, avulsa dalla cultura del parco come giardino con cui si sono progettati e realizzati i grandi parchi in Italia (Monza, etc.) e all'estero nel XIX e XX secolo. Si sarebbero potute e dovute scegliere altre modalità, come ad esempio la geometria a sinusoide, che sono più apprezzabili da vedere e ugualmente funzionali.

Infine è grave la mancata integrazione delle specie nuove con quelle esistenti, ormai storicamente assestate, quali robinie, pioppi e altre specie anche arbustive che crescono presso le rogge e lungo i vecchi tracciati viari, incluse le strade agricole. Del tutto ingiustificabile l’abbattimento di specie che già le perizie dei naturalisti hanno valutato come significative a livello ambientale, anche per la nidificazione e per l’insediamento di specie avicole di passaggio.

In definitiva possiamo dire questo:
1. Segrate ha e avrà degli alberi in più, dei begli alberi speriamo, ben messi in posa e robusti, ossia dei boschetti di cui misureremo l'efficacia tra vent'anni. Il che è in generale un bene e l'unico vero merito del PGT.
2. Forse mantenerli costerà non poco alla collettività, mentre l'attività agricola è solo a carico del proprietario e - se ben fatta nel rispetto ecologico - preserva l'ambiente.
3. Il verde ovviamente si poteva ottenere anche in maniera più sensata, ripensando il paesaggio urbano e periurbano in un'ottica coordinata e complessiva, integrando il verde esistente - dove possibile.
4. Se poi il ricorso intentato al TAR contro il PGT andrà a buon fine le costruzioni non si faranno, mentre i boschi si spera che restino, altrimenti avremo legna per ardere, o per costruire ... in legno!

Quanto poi ai progetti dei nuovi insediamenti, e alle loro implicazioni urbanistiche, rimandiamo le riflessioni ad altra occasione.

Gianluca Poldi – Segrate Nostra